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Un tour unplugged con una band di 5 elementi più una violoncellista, per proporre i suoi brani riarrangiati in chiave acustica. Dopo i concerti con l’Orchestra della Magna Grecia, anche stasera Achille Lauro torna agli Arcimboldi. «Per regalare una nuova versione intima ed essenziale delle mie canzoni — dice lui — e per mettere al centro le parole, da sempre fondamentali in tutto ciò che faccio». La scaletta sarà un best of, si spazierà da vecchi pezzi come «Lost for Life» ai successi degli ultimi anni, tra cui quella «Rolls Royce». Che nel 2019 fece conoscere Lauro De Marinis al grande pubblico dopo la fase rap. Senza dimenticare il recente singolo «Che sarà», definito dal 32enne «una ripartenza»: «Sto lavorando a della nuova musica anche sperimentale, questo brano fa parte di un percorso che ho già chiaro in testa e che svilupperò a breve». 

Dopo l’exploit di 4 anni fa a Sanremo non si è fermato un attimo, muovendosi tra musica, arte, moda, pubblicando album, libri, allestendo mostre. Non è troppo? 
«Perché? Sono coerente con me stesso, faccio quello che mi piace. Magari un giorno mi fermerò un po’ per il bisogno di nuove ispirazioni, ma finché la passione per la musica e per i miei progetti è viva vado avanti».
La sua passione è la sua ossessione?
«Sì, un’ossessione che mi spinge a non vivere più la mia vita privata e a dedicarmi anima e corpo, senza sosta, a ciò che amo. Molti credono che sul palco indossi una maschera e che per il resto mi faccia i fatti miei; in realtà il mio tempo libero lo passo facendo musica, costruendo progetti, tutto con una cura maniacale. È una fortuna, era il mio sogno sin da ragazzino».
Cosa l’ha influenzata di più in questo percorso? 
«Il contesto in cui sono cresciuto, traumatizzante, ma stimolante. Ho vissuto l’adolescenza lontano dai miei, con mio fratello maggiore, in una casa autogestita con solamente ragazzi alla periferia di Roma. Erano tutti più grandi di me, raver, scappati di casa, delinquenti, figli di nessuno, giovani che per sfuggire a quella situazione di abbandono suonavano, dipingevano, si tatuavano, s’inventavano. La musica mi è servita per conoscermi e stare meglio. Poi a Milano, dove vivo dal 2016, ho trovato la terra delle opportunità dove esprimermi da musicista, artista, imprenditore. Non ho barriere, anzi, sono pericoloso, perché adoro infilarmi in ambiti che non conosco e proporre la mia visione scardinando le regole».
E il tour nelle scuole superiori che sta portando avanti? 
«Sto incontrando ragazzi svegli, che ti dicono “voglio fondare un’azienda” con una determinazione che raramente mi è capitato di vedere tra i miei coetanei. Gli adulti li criticano spesso, ma mi dissocio. Ciò che mi spiace è che mi sembra siano stati educati alla disillusione. Io, invece, vado a dirgli che si può fare ciò che si vuole e che è giusto seguire le proprie passioni, non importa si tratti di costruire una carriera nello spettacolo o di diventare un astronauta o un contadino».
Per il 2023 ha annunciato un progetto artistico nel metaverso: non ha paura di tutta questa realtà virtuale? 
«Oggi siamo alle porte di una grande svolta, tra non molto non avremo più pagine Instagram, ma case virtuali dove chiunque potrà venire a trovarci, avremo spazi dove creare e dove con un visore si potranno vivere esperienze immersive. Tutto questo spazzerà via il web com’è oggi, trasformerà il mercato. Bisogna accogliere il cambiamento, ci permetterà di fare cose all’avanguardia».


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