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Per spingere l’Italia a ratificare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), i suoi vertici sono volati direttamente a Roma, per un faccia a faccia con la premier Giorgia Meloni che potrebbe chiudere un dossier ormai aperto da diversi anni.

Ma al di là della ratifica formale, su cui si esprimerà il Parlamento, alla premier interessa ragionare sulla sostanza: bisogna “verificare possibili correttivi”, insieme agli altri Stati, per rendere il Mes “uno strumento effettivamente capace di rispondere alle esigenze delle diverse economie”. Dopo la pandemia, la guerra in Ucraina e le nuove difficoltà economiche che sono seguite, lo strumento va insomma ripensato per adattarlo alla nuova situazione.

Il nuovo direttore generale del Meccanismo, il lussemburghese Pierre Gramegna, nominato a dicembre anche con l’appoggio del governo italiano, ha voluto incontrare la premier a Palazzo Chigi assieme al suo braccio destro italiano, il segretario generale Nicola Giammarioli.

L’obiettivo era ascoltare i dubbi della presidente del Consiglio, ricordandole allo stesso tempo l’impegno che l’Italia ha preso, assieme a tutti i partner dell’Eurozona, di approvare la riforma pensata per rendere più semplice il funzionamento dell’ex fondo salva-Stati. La premier, da parte sua, ha ribadito la sua posizione: il Mes è uno strumento economico-finanziario anomalo, perché pur disponendo di ingenti risorse, non viene utilizzato da lungo tempo dagli Stati aderenti, nonostante la difficile congiuntura economica nella quale si trovano. Basti pensare che nemmeno il cosiddetto ‘Mes pandemico’, la linea di credito pensata per aiutare i Paesi a finanziare la spesa sanitaria esplosa con la pandemia, è stato mai richiesto. Per Meloni, nemmeno la riforma renderà il Mes più attrattivo e quindi utile per i suoi membri. Dunque, bisogna ripensarlo e modificarlo. Un ragionamento a cui il direttore Gramegna non chiude la porta, anche in vista della riforma del Patto di stabilità e, più in generale, della governance economica europea, che potrebbe rivedere anche il ruolo del Mes.

Il negoziato con l’Europa, insomma, si arricchisce di un altro tassello. Ma in testa resta sempre il Pnrr: la prossima settimana il ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, andrà a Bruxelles per entrare nel vivo delle richieste di modifiche del piano. La prima cabina di regia dell’anno, presieduta proprio da Fitto a Palazzo Chigi, ha fissato il calendario: nelle prossime settimane saranno convocate una serie di “riunioni tecniche bilaterali” con i diversi ministeri, per verificare lo stato di attuazione di ciascuna misura e capire quali hanno bisogno di essere aggiornate. Nel cronoprogramma bisogna anche inserire il capitolo Repower Eu, che ha altri 9 miliardi da spendere in progetti sull’energia sostenibile, e vanno previsti il prima possibile per poter rispettare i tempi. Con le prime scadenze previste già a marzo, il governo ha intenzione di chiudere entro febbraio il confronto con la Commissione europea sul nuovo Pnrr. Alcuni progetti, come quelli sull’idrogeno verde su cui non c’è interesse degli operatori, saranno depennati o spostati in quelli finanziati dai fondi di coesione. Altri saranno spinti a fine anno, come potrebbe accadere all’entrata in vigore del codice degli appalti. Di certo c’è che entro il 30 giugno bisogna raggiungere 27 obiettivi, di cui 20 milestone e 7 target, per poter richiedere alla Ue la quarta rata da 16 miliardi di euro.

ANSA


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